MOBBING  image
Il termine mobbing deriva dall'inglese "to mob" che vuol dire accerchiare, aggredire, assalire in massa ed è stato usato negli anni '70 dall'etologo  Konrad Lorenz per descrivere il comportamento messo in atto da alcuni animali che si aggregano tra di loro contro un membro del proprio gruppo allo scopo di attaccarlo, isolarlo, escluderlo dal gruppo e combatterlo fino a provocarne la morte.
Dal punto di vista scientifico il termine mobbing è stato utilizzato nel 1984 da Heinz Leyman per descrivere quel fenomeno vessatorio in ambiente lavorativo che si pone come obiettivo l'estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro.
Il mobbing non è costituito da un singolo episodio scorretto nei confronti del lavoratore o da qualsiasi azione di emarginazione professionale e/o dequalificazione, perché non tutti i comportamenti scorretti possono qualificarsi come mobbing.
Affinché tali condotte scorrette configurino mobbing devono durare da almeno 6 mesi, essere collegate tra di loro e porsi come scopo ultimo quello di indurre il lavoratore a rassegnare le dimissioni.
Il mobbing è caratterizzato da ostilità e vessazioni sistematiche, che umiliano e sviliscono umanamente e professionalmente il lavoratore ledendo la sua dignità, con una violenza sempre più crescente. La vittima del mobbing, stritolata da un meccanismo perverso, finisce per ammalarsi sviluppando un disturbo traumatico da stress, disturbi depressivi gravi, ansia, calo dell'autostima, sociopatia, amnesie, attacchi di panico, esaurimento nervoso, irritabilità, nervosismo, apatia, agorafobia, dipendenza da alcool e/ sostanza, obesità, gastriti e coliti nervose, malattie autoimmuni, ipertensione arteriosa, malattie psicosomatiche, malattia cardiovascolari, arrivando finanche al suicidio. In genere le vittime di mobbing di sesso femminile sono più propense a parlarne e a cercare aiuto, mentre gli uomini preferiscono tacere, perché le violenze subite rappresentano una ferita narcisistica e vengono percepite come un attacco alla loro virilità.
Leyman definisce il mobbing una forma di "comunicazione ostile e immorale diretta in maniera sistematica, da una o più individui (mobber o gruppo di mobber) verso un altro individuo (mobbizzato) che viene a trovarsi in una posizione di mancata difesa".
Intorno agli anni '90 anche in Italia si comincia a diventare consapevoli del fenomeno, in seguito agli studi condotti da Harald Ege,  che definisce il mobbing " una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori" che proseguono in maniera ripetitiva da almeno 6 mesi.
Le condotte vessatorie possono contemplare: pressioni psicologiche e molestie, calunnie sistematiche, maltrattamenti verbali ed offese personali, minacce e atteggiamenti intimidatori o rivolti ad umiliare, anche in forma indiretta, critiche immotivate ed atteggiamenti ostili, delegittimazione dell'immagine anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei al contesto lavorativo, demansionamento, attribuzione di compiti eccessivi o esorbitanti o dequalificanti rispetto al profilo professionale per indurre disagi sia fisici che psicologici, mancata informazione utile per l'attività lavorativa sistematica e immotivata, emarginazione da iniziative formative di riqualificazione e aggiornamento professionale, forme di controllo esasperate ed eccessive, discriminazioni sessuali, di razza, di lingua e religione, condotte vessatorie per colpire il lavoratore nella sfera privata.
Si distinguono diversi tipi di mobbing : orizzontale (attuato dai colleghi di pari grado),
verticale (attuato dai colleghi di grado superiore ma anche inferiore), trasversale (messo in atto da persone esterne all'ambiente di lavoro, che si sono messe d'accordo con il mobber, per creare discredito ed emarginazione della vittima quando cerca appoggio o cerca di fare riconoscere il proprio valore), il bossing (attuato dal diretto superiore o dai vertici dell'organizzazione), il doppio mobbing (messo in atto sia sul lavoro che dalla famiglia, sulla quale il lavoratore scarica le proprie tensioni, ma che a lungo andare finisce per prendere le distanze dal familiare mobbizzato a causa dell'eccessivo carico emotivo, rendendo la vittima di mobbing  ancora più isolata ed emarginandola a propria volta).
In genere l'attacco persecutorio all'inizio non è mai intenzionale da parte del gruppo di persone, ma scaturisce da processi inconsci di insoddisfazione riconducibili ad una disfunzionalità dell'organizzazione, che vengono canalizzati verso un soggetto che si differenzia dal gruppo per alcune sue peculiarità quali le opinioni politiche, religiose, il colore della pelle, uno stile di vita diverso o particolare, che rendono la persona un facile bersaglio.
Le diagnosi più frequenti formulate in caso di mobbing riguardano il PTSD (Disturbo da Stress Post Traumatico), il GAD (Disturbo d'Ansia Generalizzato), il PDSD (Disturbo da Stress Prolungato), sindrome da affaticamento cronico, disturbo dell'adattamento. Per questo motivo l'intervento di uno psicologo è quanto mai auspicabile, per permettere alla vittima di riconquistare fiducia in sé stessa, autostima, riprendere le redini della propria vita e ritornare ad esserne protagonisti.